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Codice Rosso – Diagnosi e cura

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Pico 2

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Aveva chiamato il 118, per trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.). Un ragazzo di diciotto anni, al civico 63 di via Bastioni. L’abitazione era un appartamento in uno stabile piuttosto vecchio, circondato da un giardino malandato. Era una giornata grigia e Vittorio si sentiva penetrare dal freddo della mattina. La primavera si faceva sospirare, quell’anno. Lo spettacolo era sempre il solito, visto tante volte in queste circostanze: le facce apparentemente impassibili del medico del Centro di igiene mentale e dell’infermiere, i due agenti nell’angolo che confabulavano sottovoce, dei familiari dall’espressione angosciata (i genitori del paziente). Il giovane si era chiuso in camera e stava parlando da solo, ininterrottamente. Avevano tentato di farlo uscire e di parlargli, ma senza risultati. Urlava ingiurie, diceva che volevano fargli del male.  Aveva incominciato tre giorni prima, mentre si trovava al lavoro nel cantiere edile di cui il padre era sovrintendente. Un compagno aveva criticato la sua squadra e accusato di combine e di irregolarità il suo calciatore preferito. Christian era diventato polemico, irascibile e aggressivo. Aveva incominciato ad inveire contro i compagni, provocandoli e rifiutandosi di proseguire il lavoro. Il padre era intervenuto e lo aveva riportato a casa. Da allora era stato un crescendo di delirio, agitazione psicomotoria, disorganizzazione verbale e logica.  Non dormiva più, era continuamente ossessionato da progetti di rivalsa, idee di prestazioni sportive eccezionali, mordaci battute di spirito. Se contrastato, diventava irascibile e violento. Il dottor Guerri del C.S.M., che lo aveva in cura da tempo, gli parlava da dietro la porta e cercava di convincerlo ad uscire. Gli avrebbe fatto un’iniezione di lamotrigina e si sarebbe sentito meglio, come era accaduto altre volte. Gli parlava con voce bassa, tranquillamente, facendo lunghe pause. Il paziente da dentro rispondeva con tono rabbioso e voce alterata. Che se ne andassero tutti, – diceva – non aveva tempo da perdere, era troppo occupato. Vittorio e Giancarlo si guardarono in modo significativo: era chiaro che l’operazione sarebbe andata per le lunghe e che il risultato non era per niente certo. Quante volte, in casi simili, erano tornati indietro con l’ ambulanza vuota! I pazienti psicotici erano imprevedibili, mutevoli, capaci di improvvisi cambiamenti. A volte era capitato che un malato apparentemente allegro e scherzoso scivolasse improvvisamente nella più cupa depressione. Altre volte che sospettasse di essere tradito o colto alla sprovvista e che mettesse in campo tutte le precauzioni legali possibili per sottrarsi al T.S.O. I genitori parlavano in un angolo. La madre piangeva. Era una donna molto più giovane del marito, sui quarant’anni, formosa, con una chioma di capelli corvini. Certamente meridionale – lo si capiva dall’accento – e molto attaccata al figlio. Sembrava che il marito si sforzasse di trattenerla, che la persuadesse a calmarsi, a lasciare l’iniziativa ai medici. Ogni tanto lei invocava il nome del figlio con voce lamentosa, poi tornava a piangere e a lamentarsi. Si accusava di non riuscire a comunicare col ragazzo, di non essere stata in grado di educarlo, di essere responsabile della crisi. Il marito la rassicurava, le parlava con dolcezza, e la tratteneva. "Anche lei è stata in cura per tanti anni,” disse Giancarlo "in seguito ad un trauma infantile. Questo è il suo secondo marito. Il primo le voleva bene, ma lei l’ha lasciato, perché non poteva darle un figlio. Così ha divorziato e si è risposata con questo, da cui ha avuto Christian. Gli si è affezionata in modo morboso, coltivando per lui sogni di successo e di ricchezza. In realtà ha compromesso la crescita affettiva del bambino e il normale sviluppo della sua personalità. È una storia molto triste.” Vittorio annuì. Incominciava a capire le dinamiche che avevano portato a quella situazione. Apparentemente erano una famiglia come tante, ma in realtà non era così. Forse c’erano stati abusi infantili, gravi perdite affettive, predisposizione o ereditarietà per la malattia. Madre e figlio erano stati soggetti ad un trattamento farmacologico per tenere sotto controllo le loro condizioni e condurre una vita normale. Il tempo passava senza che la situazione cambiasse. Il medico e l’infermiere si alternavano nel colloquio col paziente, che continuava a rifiutare le cure e non riconosceva di essere malato. Il tono delle risposte era risentito, oppure polemico. Quando la madre lo chiamava, Christian diventava aggressivo. Vittorio si chiese fino a quando sarebbero continuati i tentativi dei sanitari. Non davano segni di cedimento, erano attenti e concentrati; sembrava che, più passava il tempo, più fossero tesi e cauti. Che cosa si aspettavano? D’un tratto la porta si aprì e comparve il giovane. Alto, robusto, con occhiali da miope. L’espressione del viso era sofferente, l’andatura lenta e strascicata, la schiena curva. Respirava affannosamente, piangeva. Si diresse verso la madre. Non riusciva a parlare, singhiozzava, sembrava distrutto. Lei incominciò ad abbracciarlo e a consolarlo con parole soffocate dall’angoscia. Era iniziata una crisi depressiva, conseguente ad un periodo di umore anormalmente elevato. Una condizione psicopatologica di alto rischio per il paziente, per cui erano necessari l’ospedalizzazione e un trattamento terapeutico tempestivo. Da quel momento l’operazione si risolse rapidamente: il giovane fu accompagnato all’ambulanza dall’infermiere, il dottor Guerri gli consegnò i documenti necessari, Vittorio mi mise al volante, i due agenti della Polizia si accodarono al convoglio con la loro auto. Una lenta carovana si snodò per la Statale, in direzione sud. C’era molto traffico, quindi bisognava fare attenzione e non c’era tempo per altro.  Arrivarono in mezz’ora. Il Centro era stato ristrutturato di recente ed appariva lindo ed efficiente. Il reparto era stato però ridimensionato e i posti-letto erano diminuiti. L’infermiere entrò col ragazzo per espletare le pratiche di ricovero. Vittorio e Giancarlo avevano completato il servizio. Ripartirono con l’ambulanza e ritornarono in sede. Lungo il tragitto, si rilassarono un po’. Era stata una mattinata tesa ed impegnativa, come succedeva sempre con gli psicotici. “Nonostante tutti i buoni propositi, questi malati ti costringono a stare sulla difensiva: è difficile controllare la situazione, organizzarsi a livello operativo, mantenersi distaccati e calmi.” disse Giancarlo Vittorio compilava la scheda del paziente. "Anch’io voglio uscire dal tunnel e rilassarmi un po’ nel pomeriggio, finito il servizio. Queste patologie sono in aumento. Sì, d’accordo, spesso sono malattie genetiche o dovute a disturbi del sistema nervoso, ma ci sono troppi fattori ambientali a rischio. ” L’altro assentì. “La società in cui viviamo è la principale responsabile, perché offre modelli di comportamento diseducativi. Basta sfogliare una rivista qualsiasi o guardare la televisione: uomini e donne perfetti, giovani, che vivono nel lusso e nel successo. Senza problemi, senza fatica, senza preoccupazioni …” "Quando ero giovane, ero povero e non avevo voglia di studiare. Però non mi sono mai sentito solo o disperato. C’era sempre qualcuno che mi voleva bene, che era disposto ad ascoltarmi e ad aiutarmi con il suo esempio. Famiglia, sacerdoti, scuola, amici. Adesso, invece, nessuno aiuta certi ragazzi come quello di stamattina.” "Beh, ammetto che la famiglia è problematica… " Per Vittorio l’educazione morale era fondamentale: "Deve essere la società ad insegnare ai giovani il modo giusto di trattare gli altri. Devono capire che le relazioni affettive sono vantaggiose, che prima di agire è meglio guardare le cose dal punto di vista degli altri.” "Ma non vedi che neppure la scuola riesce a farlo? Ti sei dimenticato quante chiamate per colpa del bullismo abbiamo avuto ?” Sì, Vittorio ricordava che appena una settimana prima una professoressa di un istituto professionale cittadino era svenuta in seguito ad atti di violenza di alcuni studenti. "I giovani sono stati sempre fragili, in ogni epoca. Gli adulti devono aiutarli. In definitiva, se il 50% della popolazione giovanile della Pianura Padana consuma stupefacenti e cerca universi paralleli e consolatori, è per questa mancanza di aiuto. La realtà è molto complessa e problematica. La realizzazione di sé non è facilitata dalla società. I ragazzi frustrati cercano un universo parallelo di evasione, illusorio e confortante.” "Sì, sono d’accordo, ma come si fa ad aiutarli? Molti rifiutano qualsiasi comunicazione!” Vittorio tacque. Lui, da adulto, aveva imparato ad ascoltare. Era la sua qualità migliore, quella che gli aveva assicurato più amici. C’erano persone, che aveva conosciuto occasionalmente, che si ricordavano di lui solo per questo. Riceveva telefonate o messaggi a distanza di mesi o di anni da giovani che volevano confidargli qualcosa d’importante della loro vita. Lui pazientemente li ascoltava e si interessava alle loro esperienze. Aveva sempre considerato le loro parole come un arricchimento della sua personalità, non come una perdita di tempo. Erano persone fragili, con esperienze di vita tumultuose o problematiche, alla ricerca della propria strada e del proprio ruolo. Qualche volta lo trovavano, qualche volta no. Probabilmente erano anche loro psicotici potenziali, chissà. Aveva capito però che avevano bisogno di aiuto, di accoglienza, di espressione. Senza queste valvole di sfogo avrebbero potuto imboccare situazioni esplosive e molto dolorose. Erano arrivati alla sede. Sistemarono l’ambulanza, lo zaino, i supporti sanitari. Si salutarono. Vittorio era stanco. Avrebbe pranzato con la moglie, si sarebbe riposato, poi avrebbe lavorato un po’ nell’orto. Anche lui aveva le sue fragilità, anche lui ogni tanto doveva riparare i buchi della sua anima. Poi avrebbe ripreso il cammino con più forza. [socialring]
Franca

Franca

Appassionata di storia, è stata insegnante di Lettere alle scuole medie dal 1975 al 2011, quando è andata in pensione.
Scrive racconti, si occupa di volontariato e ha un grande amore per le piante e i fiori.
Autodidatta nella coltivazione delle piante, si impegna a mantenere un approccio bio nella cura del giardino.
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