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Racconti

Granny’s House Private Eye – Il bambino Gunnar

reddittumblrmailErano passati molti anni da quando avevamo lasciato la città di M... Opportunità di lavoro, sogni di carriera: eravamo partiti con la certezza di riuscire in qualcosa. Ma l'opportunità di lavoro si chiamava “contratto flessibile”, il sogno di carriera si chiamava “spostamento nell'ufficio di un dipendente licenziato per sovrannumero”. Cominciavamo ad essere stanchi: il lavoro era una lotta in un acquario per gli squali, precario come non poteva esserlo nemmeno la selezione naturale; le aziende venivano comprate dai creditori perlopiù cinesi o entravano a far parte di multinazionali che apprezzavano profondamente l'esistenza degli interinali, che inglobavano negli uffici perché somministrassero il lavoro a contratti da cinque giorni ciascuno. Niente ferie, niente malattia, nessun problema a liberarsi di un impiegato, visto che il suo contratto poteva durare anche solo una settimana. Eravamo stanchi e senza soldi. Così, avevamo deciso di tornare nella città di M... per intraprendere una nuova attività in proprio. Un vero colpo di testa, una pazzia, adesso che ci penso. Eppure, in qualche modo ci eravamo convinti che potesse funzionare. Potevamo vivere a Granny's House, la casa che fu di mia nonna e che ora era di mio padre, che l'aveva sistemata a dovere e, forse, sperava in un mio ritorno, prima o poi. Avevamo preparato i bagagli, caricato la Citroën ed eravamo partiti. Col terrore di ritrovarci entro breve a mendicare, perché la nostra attività sarebbe stata qualcosa di mai visto prima (anzi, no, una volta sì) e probabilmente nessuno si sarebbe mai rivolto a noi. Cosa c'era stato prima? Prima c'era stato “Togliti il dubbio”. Un negoziante che vendeva magliette stampate e adesivi e che aveva avviato anche un'attività collaterale di investigatore privato. “Non sai cosa fa tua moglie quando esce? Non sai dove va tuo figlio la sera? Togliti il dubbio!!!”. La sua attività principale, insieme a quella di investigazione, chiuse quando venne scoperto dalla polizia -che aveva la sede due civici più in là- a pubblicare sulla vetrina del negozio annunci di incontri con donne filippine che non aspettavano altro che impalmare italioti patologicamente soli. Metterci a fare i “Togliti il dubbio” quindici anni dopo ci preoccupava non poco, ma era la prima cosa che ci era venuta in mente, così cominciammo a pensare al logo, al motto aziendale, a come farci un po' di pubblicità. E intanto, guidavamo.La Citroën era ormai una vecchia signora: motore di 35000 km trapiantato da una macchina rottamata che aveva acconsentito alla donazione degli organi, ruote cambiate per la prima volta dopo dieci anni dall'acquisto, polvere secolare e un gran numero di ragnetti deceduti nascosti negli interstizi. Il tutto corredato da sassolini e pezzettini di terra. Un giorno ci era finita anche una zollettina di terra con un germoglio, che poi avevamo trapiantato nel giardino dei miei. La decoravano due adorabili peluche, Rino e Fante, che secondo i nostri siparietti erano piloti provetti che si trovavano a disagio su una macchina con così pochi cavalli. La povera macchina quasi strisciava sul paraurti posteriore tanto era carica sulle sue chiappone, quasi fosse pronta ad impennare, ma andavamo ad una velocità di crociera degna di rispetto: 60 km/h. In autostrada. Non a caso, guidavo io. Di solito si diceva: “È mattina, Bianca guida... ed è subito sera”. Ho sempre pensato che la prudenza non è mai troppa. L'unica preoccupazione che avevo allora era di dover fare degli inseguimenti: ma chissà se mai ce ne sarebbe stata l'occasione? Arrivammo a notte fonda. Troppo tardi per far sapere a Vittorio, mio padre, che eravamo arrivati, e troppo stanchi noi per il lungo viaggio. I chilometri non erano molti, ma il tempo per percorrerli era stato infinito.La chiave era sempre la stessa, girava ancora senza fatica nella serratura, così entrammo senza scaricare nulla se non lenzuola e vestiti per la notte e il giorno dopo. Con noi c'erano anche Tsu e Nami, i gattini. Una volta infilati ciascuno nel proprio trasportino, avevano miagolato per tutto il viaggio come se la destinazione fosse il macello. Finalmente, dopo cinque ore di tragici miagolii, si erano addormentati e al nostro arrivo avevano apprezzato la pappa e il montaggio della loro fontanella per l'acqua. Si fecero un bel giro per la casa e poi scelsero come luogo per dormire un vecchio zainetto portacomputer di Orso.Niente doccia, la caldaia era spenta e chissà quanto ci sarebbe voluto perché l'acqua si scaldasse. Nanna, subito. Non appena il letto fu pronto, ci concedemmo un panino vegetariano scaldato al microonde con affettati di glutine e formaggio e poi subito crollammo a dormire per le successive 12 ore. Quella mattina c'era una nebbia terrificante: non si vedeva il bar di fronte, ma poco importava: ormai era fallito da qualche anno ed era stato abbandonato anche dai cinesi che lo avevano rilevato. Troppa povertà nella città di M..., la crisi aveva trasformato il centro in una landa desolata degna di uno scenario postatomico. Anche gli stranieri erano partiti per altri lidi ed erano rimasti solo pochi negozianti coraggiosi che si supportavano a vicenda con un sistema di acquisto e rivendita che aveva più somiglianze con il baratto che con il commercio vero e proprio. Ma funzionava: tolte le banche e risolto il problema delle tasse, alla fine riuscivano ad avere ciò di cui avevano bisogno e a vendere qualcosa a tutti, anche in cambio di servizi o altri prodotti. Così, la nonnina barattava una bistecca con una sciarpa fatta a mano ed erbe aromatiche coltivate in giardino e riceveva a sua volta dalla vicina la lana per fare le sciarpe in cambio dei suoi manicaretti da asporto che la vicina dava al figlio; il figlio della vicina a sua volta faceva piccoli lavoretti in casa delle signore sole in cambio di altro cibo, ortaggi, frutta o abiti confezionati in casa. Era un piccolo mondo antico che viveva nascosto dalla modernità del mercato globale. Il bar aveva resistito finché aveva potuto, ma dopo aver perso gli ultimi camionisti in partenza alle 5 di mattina, al barista non era rimasto che vendere le tristi panchine per i fumatori che davano sulla strada e poi il bar stesso. Il cinese che lo aveva rilevato era stato ben più veloce: vedendo che proprio non funzionava e che persino i suoi connazionali preferivano andare verso il centro che rimanere a prendere freddo d'inverno e caldo d'estate nella prima periferia, decise di passare alla vendita ambulante di ortaggi, che sembravano interessare molto di più gli abitanti. Dalla finestra, quindi, non si vedeva che nebbia. Sollevando la tapparella del balcone, mi prese un mezzo accidente nel vedere un tizio che dormiva sulle sdraio. Vedevo anche una bottiglia di Fischer rovesciata e vuota. Chiamai Orso, che si preparò ad uno scontro e aprì coraggiosamente la porta-finestra. Ci vollero svariati scossoni perché il tizio aprisse gli occhi. “Mmmmhhhh” “Mmmmhhh a te, amico. Lo sai che non sei a casa tua?” “Mmmmmhhh” “Alzati, su...” Era vestito come Indiana Jones. Uguale. Mi chiedevo cosa potesse fare nella vita un tipo del genere: di certo non l'archeologo. “Ha detto Vittorio che posso dormire sul balcone, quando ho bisogno di stare tranquillo. Sono un volontario della Croce Blu. Ci siamo conosciuti lì e lui apprezza la mia bravura nel sollevare le cose. Mi chiamo Bruno Coccimanni, di professione archeologo nonché venditore ambulante di curiosità e antichità. Visitate il mio sito www.guarda_cosa_c_era_nel_solaio.com!”. “Ah! Scommetto che lo hai aiutato a trovare vecchi documenti della città di M...” “Esatto! In cambio, mi offre ospitalità sul balcone. Non mi piace stare dentro le case, troppi muri, troppo chiuso, troppo da pulire, così mi attrezzo con tende nei giardini o sdraio sui balconi.” “Beh, direi che ormai possiamo mantenere la consuetudine. Cosa ne pensi Orso? “Se gli piace la Fischer e ne ha un po' da condividere, non vedo perché no.” “Caffè?” “Caffè”. Diedi comunque un colpo di telefono a mio padre per dirgli che eravamo arrivati e che avevamo fatto la conoscenza di Bruno “Jones” Coccimanni, di professione archeologo. Passammo la giornata con Jones, che ci aiutò a dare una sistemata alla casa e al quale decidemmo di lasciare anche un piccolo spazio in garage per quando pioveva, oltre ad una tenda in giardino per quando aveva bisogno di riflettere. In cambio, ci aveva promesso di procurarci un po' di cibo e seguire l'orto. Tsu e Nami lo adoravano, non faceva che giocare con loro e loro si divertivano da matti. Se una persona piace ad un animale, non può che essere una buona persona. Tornare alla città di M... era stato come entrare di colpo in un mondo parallelo, pieno di stranezze. In realtà, le stranezze sono dappertutto, ma semplicemente in città non si notano perché si perdono in mezzo al grigiore, mentre in una piccola città è più facile che emergano in superficie e si trasformino nella normalità delle cose. Avevamo un aggancio che ci avrebbe permesso di svolgere la nostra attività. Giovanni Senzapatria, il pezzo grosso della situazione, quello con gli intrallazzi, era diventato importante ed era stato eletto nel consiglio comunale grazie ad un capriccio: aveva minacciato di di dichiarare che le elezioni erano truccate se non avesse avuto un posto da assessore, e così era stato. Assessore a non si sa cosa e con quel pochino di potere che poteva fargli comodo per svolgere i suoi piccoli affarucci privati di cui noi avremmo fatto bene a non interessarci. Era un vecchio amico, di quei conoscenti che non faresti entrare in casa ma con cui parli cordialmente in piazza, cercando di farla breve il più possibile. Sapendo che stavamo tornando nella città di M..., si era informato di quale attività avremmo svolto e ci aveva promesso le licenze come investigatori privati. Do ut des: alla polizia avevano fin troppe chiamate per piccoli furti di cibo o piccoli soprammobili, noi avevamo bisogno di lavorare per vivere. A noi le licenze per occuparci di casi di poca importanza al posto della polizia, a loro molti problemi e perdite di tempo in meno. Non capivo bene che connessioni potesse avere il Senzapatria con la polizia e le loro attività, ma sembrava una cosa che ricordava molto Boss Hogg e Rosco P. Coltrane, però senza cane. Conosceva anche molti altri personaggi influenti della città, come il magnate del mattone selvaggio o l'industriale numero uno della città. I più ricchi e potenti, quelli che davano il lavoro alla maggior parte delle persone in città e che, nonostante la crisi, stavano tenendo duro e mantenevano una vità decisamente dignitosa. Per mangiare a volte occorre scendere a compromessi... Senzapatria era il nostro male minore e, tutto sommato, sembrava avesse fiducia in noi. Aveva messo una buona parola alla polizia per le licenze e, guarda caso, aveva anche già un caso per noi: una famiglia di nobili decaduti aveva denunciato la scomparsa del proprio bambino. Eravamo già fuori casa e così telefonammo a Jones per dirgli di dare la pappa a Tsu e Nami alle 20 in punto, se non fossimo tornati in tempo. 30 grammi a testa, non di più, perché durante il giorno si autogestiscono con i croccantini. Jones disse che ero matta a pesare la pappa dei mici, ma acconsentì a seguire le istruzioni alla lettera. Ci recammo all'indirizzo che Senzapatria ci aveva dato. Era un lungo viale alberato, una strada privata, lasciato in balia delle sterpaglie ma che comunicava comunque un vago senso di nobiltà. La casa, anch'essa quasi fatiscente e decisamente lasciata andare in malora da qualche anno, era imponente e piena di colori: i fiori dei rampicanti che stavano ricoprendo inesorabilmente quell'edificio antico la rendevano veramente bella e allegra. Erano nobili: Ezechiele Maria Gino Dardano del Falco della Chioccia, conte di M.. e San Biagio e possidente del latifondo dei Tre Gobbi,  e Gudrun Cibele Gunvor Maja Ragna Knagenskiold av Morgenstierne, baronessa di Hammervik. Lei era probabilmente di origine nordica; lui, sicuramente delle nostre parti, discendente di una famiglia di feudatari che ebbe origine nelle nostre campagne. “Chissà se i suoi avi avevano lo ius primæ noctis?” “Chissà... se erano conti probabilmente sì.” Ci venne incontro un maggiordomo piuttosto avanti negli anni ma in forma: rigido, quasi marziale, controllato nei movimenti e molto, molto educato e compito. “I signori vi attendono nella serra d'estate. Vi prego di seguirmi.” -con tanto di inchino!- Beh, si poteva dire che tutta la casa fosse una serra, così ricoperta dalle piante. Probabilmente la casa era la serra d'inverno. La serra d'estate era invece incredibilmente ordinata e ben curata, con un grande spazio dedicato agli ortaggi. Probabilmente non avevano più soldi e si nutrivano di ciò che coltivavano. Dietro la casa avevamo intravisto anche una stalla: forse avevano anche delle vacche da latte. Stavo già pensando a come avrebbero potuto pagare la nostra tariffa giornaliera e il pensiero del latte fresco mi stava davvero intrigando. La contessa Cibele del Falco della Chioccia si rivolse a noi senza guardarci, guardando nel vuoto come se nemmeno ci fossimo. “Buongiorno. Siete dell'agenzia Granny's House Private Eye, giusto?” “Sì, signora. Bianca e Orso, per servirla.” -avevo veramente detto “per servirla!!!!!” Mamma mia!- “Il dottor Senzapatria ci ha parlato bene di voi: siete di qui, vero?” “Appena ritornati dopo alcuni anni in città. Siamo nati e cresciuti qui, conosciamo bene la zona e abbiamo ottimi contatti.” “Un uomo davvero inquietante, quello, però gentile, non trova? Viene a trovarci ogni tanto e a vedere la casa. Credo che voglia vedere se siamo messi così male da venderla, ma noi non potremmo mai... diciamo che abbiamo il nostro fondo di riserva. Che rimanga tra noi, chiaramente!” Il conte si intromise nel discorso. “Senzapatria dice che potete aiutarci a ritrovare nostro figlio. È scomparso...” “Signora, ci spieghi bene cos'è successo: è stato rapito, è scappato?” “No, no... è che non lo troviamo più. Non so se sia stato rapito, nessuno mi ha detto niente, chiesto niente... ad un certo punto l'ho chiamato e non si è fatto vivo, così Etelgundo (il maggiordomo) si è messo a cercarlo senza successo.” Per essere una donna che aveva perso il figlio (rapito, fuggito, caduto in un pozzo, chissà), la contessa mi sembrava davvero tranquilla. Con il fazzoletto tenuto vicino al naso, ma senza averne bisogno, teneva lo sguardo quasi perso nel vuoto rivolto verso la finestra, ma senza guardare né vedere niente. La posa era molto nobile, senz'altro. Il padre pareva un po' più presente, ma anche lui manteneva un fare distaccato che non avrei saputo definire altro se non un nobile modo di darsi un tono, frutto di anni di addestramento all'etichetta. “Conte, che cosa avete fatto oggi? Quand'è stata l'ultima volta che avete visto il bambino? “Siamo andati alla Coop da soli, senza Etelgundo, ad acquistare alcuni generi alimentari per una cena di gala: Cibele desidera cucinare e abbiamo comprato alcuni cibi esotici. Il bambino era con noi.” “E dopo essere stati a fare la spesa dove siete andati con il bambino?” “Siamo venuti a casa: appena scesi dalla macchina, ci siamo girati e lui non c'era. Sparito!” “E... il nome del bambino?” “Gunnar. Gunnar Tancredi Eufrasio Knut Brage del Falco della Chioccia Knagenskiold av Morgenstierne, conte di M... e San Biagio e barone di Hammervik.” “Ah... bel nome! Davvero!” Mentre il conte ci raccontava cosa avevano fatto durante il giorno, un dubbio ci aveva colti immediatamente: che lo avessero semplicemente dimenticato lì? Sembravano veramente un po' persi dentro se stessi... forse erano semplicemente partiti e avevano lasciato il bambino fuori dalla macchina. Roba da matti, forse, ma... Oppure si trattava di un rapimento ed era troppo presto perché pervenisse una richiesta di riscatto. Decidemmo di muoverci subito e di ripercorrere il tragitto dei conti, per capire se si trattava davvero di una dimenticanza o se ci dovevamo aspettare qualcosa di peggio. “Ripercorreremo i vostri passi e lo troveremo, non vi preoccupate. Ora partiamo alla volta della Coop e vi faremo sapere.”, dissi loro. Orso aggiunse: “Vi preghiamo di rimanere in casa e di non parlare a nessuno di quanto è successo. Decideremo di chiamare la polizia, se necessario, solo dopo aver fatto le dovute indagini.” Il maggiordomo sembrava essere l'unico ad ascoltare le istruzioni di Orso: annuì con gravità e fece un leggero inchino della testa come a dirci che avrebbe pensato lui a contenere qualsiasi slancio inconsulto dei padroni. “Ah, ecco, per vostra informazione: la nostra tariffa è 50 Euro al giorno più le spese. Per voi può andare bene?” “I signori possono anche pagare in parte con cibo e latte?”, chiese Etelgundo, che probabilmente era preposto alle questioni relative al vil denaro. “Assolutamente sì!” rispose Orso. “E se avete anche un po' di vino, anche con quello!” “I signori saranno senz'altro accontentati. Ovviamente, al termine del loro compito. Vi faccio strada.” Ci accompagnò alla porta. Sembrava uscito da un racconto di Agatha Christie. Ed era pure altissimo. Anzi, forse ricordava di più Lurch della famiglia Addams. “Spero che lor signori si comporteranno come si conviene con il signorino. Vi prego di ricordare che i conti sono persone che non si occupano delle bassezze della vita. Hanno un animo... naïf, diciamo... Tra i miei compiti c'è anche quello di evitare che vengano... ecco... raggirati o presi in giro. Lor signori mi sembrano brave persone, ma è necessario che io vi avverta.” “Beh, Etelgundo, deciderà se siamo affidabili una volta che avremo trovato il bambino. Credo che la sua fedeltà e la sua lealtà siano davvero encomiabili.” “Non potevo resistere: ho visto che avevano una cantina molto bene fornita!!!! Una bottiglia di buon vino fa bene all'animo, no?” “Assolutamente!” “Molto leale quel maggiordomo.” “Se il bambino è stato rapito, sono sicura che il maggiordomo non c'entri nulla. Probabilmente è lui che cresce il piccolo lord, non tanto la madre.” Ci recammo alla  Coop ed entrammo: pieno di gente con poche cose nei carrelli. Solo lo stretto necessario che non si può produrre in casa. Come prima cosa, pensavamo di chiedere al Punto d'Ascolto se qualcuno avesse segnalato un bambino disperso. C'era una fila lunghissima, tanto che non vedevamo nemmeno il bancone. “Aspettiamo qualche minuto, poi, se la fila non diminuisce, andiamo a cercarlo per conto nostro.” Non ci fu bisogno di aspettare né che la fila diminuisse né che cominciassimo a cercare. D'un tratto,  sentimmo distintamente all'altoparlante: “Il bambino Gunnar attende i genitori al Punto d'Ascolto. I genitori del bambino Gunnar sono pregati di recarsi al Punto d'Ascolto. Ripeto: bambino Gunnar.” Ci facemmo strada verso il bancone. Al Punto d'Ascolto una povera operatrice stava “giocando” con quello che identificammo come Gunnar in persona, perfettamente a suo agio nel tirarle i capelli e lanciarle pennarelli aperti sulla camicia bianca. Un senso di profonda disperazione traspariva dal volto della donna. Natural born baby sitter, si potrebbe dire. “Gunnar, ti prego, il lampostil non viene via in lavatrice...” La poveretta cercava di parare i colpi del nobile marmocchio e lo supplicava ormai senza troppa convinzione. Il nobile marmocchio doveva essere una peste... altro che piccolo lord! Ci presentammo al bancone. “Siamo dell'agenzia Granny's House Private Eye, queste sono le nostre credenziali. Siamo stati assunti per ritrovare il conte Gunnar del Falco della Chioccia, che, credo, sia quell'adorabile bambino che sta tormentando la sua povera collega.” “Ve lo diamo subito. Portatelo via da qui!” Fu così che Gunnar tornò a casa sano e salvo tra le braccia della madre, che continuava a guardare verso l'orizzonte con lo sguardo spento mentre il padre manteneva il suo sguardo fiero sul giovane virgulto viziato come non mai. Etelgundo, invece, si mostrava leggermente compiaciuto. Doveva essere molto affezionato al ragazzino. E sembrava che avessimo conquistato la sua fiducia, quando gli dicemmo che, data la facilità dell'impresa, avremmo applicato un piccolo sconto alla tariffa giornaliera. “I signori troveranno il loro compenso nel paniere. Vi prego di lasciarmi anche un biglietto da visita, in caso i conti dovessero avvalersi di nuovo dei vostri servigi. Sarà mia cura contattarvi ancora in futuro.” Caso chiuso: 25 Euro in contanti, tre bottiglie di latte fresco, sei uova e due cespi di insalata con pomodori di serra. E una bottiglia di vino.
chiara@grannyshouse

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Blogger at Granny's House
Blogger e copyeditor, vive nel caos e ha sempre tante idee in testa.
Vegana, yogini, fa volontariato al Canile di Mirandola "Isola del Vagabondo" ed è donatrice AVIS.
Vizia senza vergogna i suoi Bimbis e sta cercando di imparare a cucinare in una maniera decente.
Ama scrivere ma deve ancora capire se ha troppo o nulla di importante da dire.
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