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Racconti

Codice Rosso – Un nobile

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Pico 2

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La chiamata era partita da via Roverbella, alle otto. Vittorio e Giancarlo partirono in codice giallo. Tutta una serie di stradine tortuose di campagna, adatte più ai mezzi agricoli che alle automobili. Quando se ne incontrava una, bisognava fermarsi e spostarsi lungo il ciglio per lasciarla passare. I fossati erano pieni d’acqua, per l’irrigazione dei campi. Nelle distese di erba medica e di granoturco erano collocati potenti getti d’acqua che si movevano in circolo. Arrivarono in un quarto d’ora. Una volta tanto il numero civico non era stato un problema, perché sul lato sinistro della strada c’era una sola grande costruzione, racchiusa da una cancellata. L’ingresso era maestoso, ornato da due leoni rampanti in pietra, su due colonne. "Dove siamo finiti?" si chiese Vittorio, fermando l’ambulanza davanti al portone principale. La corte era spaziosa, circondata da un vasto parco di tigli e magnolie. Il giardino di lato era pieno di rose. Gli ricordò come in un flash quello della sua infanzia, a san Giorgio sul Po. Un roseto rampicante dai boccioli rosa chiaro, del colore della carne. L’edificio era a tre piani; grandi vetrate illuminavano il pianterreno. Suonarono il campanello. Una domestica di mezza età li fece entrare in un atrio lussuoso. Era agitata,evidentemente li aspettava con ansia. "Buongiorno, signora. Abbiamo ricevuto una chiamata dal signor Rodolfo Manfredi" disse un po’ intimidito. "Grazie a Dio siete venuti subito! Presto, saliamo nella camera del signor conte. Si sente male!" Li precedette a passi rapidi sullo scalone di marmo ornato di statue e rilievi. Arrivarono ad una specie di loggia, su cui si affacciavano bianche porte e archi. La donna bussò ad una, li annunciò e li fece entrare. Era una camera da letto grande, in penombra, di colore chiaro; disteso sul letto, in pigiama, c’era un uomo sulla sessantina, di corporatura snella, col viso pallido e i capelli grigi arruffati. Li guardò alzando su di loro i suoi occhi grigi. Si presentarono. Vittorio chiese: "Come si sente? Ha avuto un malore?" "Mi sono svegliato con un dolore fastidioso al torace e al braccio sinistro. Sono cardiopatico, conosco i sintomi di un infarto, per questo vi ho chiamato subito." Giancarlo l’aiutò a togliersi la giacca. "Devo esaminare i parametri vitali" disse, estraendo dallo zaino il saturimetro e il misuratore della pressione. Vittorio si rese conto subito che i dati erano alterati. Ne informò tramite cellulare il 118, richiedendo la presenza del medico. L’auto medica sarebbe arrivata in poco tempo. "Non si preoccupi, questa è la prassi." disse all’uomo che osservava i loro visi, attento a cogliervi i segnali della sua situazione. "Il medico la visiterà e deciderà sull’opportunità di un ricovero. Sarà qui a momenti. Ha avvertito il suo medico di base?" "Sì, il professor Borelli." Vittorio assentì; era il primario del reparto di Medicina dell’ospedale più importante della città. "Se le ha prescritto un farmaco, lo assuma immediatamente" consigliò Giancarlo, che aveva accertato la presenza di un’aritmia. "Alvaro, portami le pillole" disse il paziente a bassa voce. Adesso il respiro era affaticato, la fronte imperlata di sudore. Si materializzò un domestico, che doveva avere press’a poco la stessa età del conte, ma appariva più vecchio e stanco, quasi fragile. Si mosse dall’angolo in cui si trovava e porse con sollecitudine al malato una pillola e un bicchiere d’acqua. Il conte assunse il farmaco, ma le sue condizioni non migliorarono. Sudava,  disse che provava una sensazione di affaticamento. Poi s’afflosciò, con un lamento. Giancarlo provò a chiamarlo, lo scosse per le spalle, ma non ebbe risposta. Era sopravvenuto un arresto cardiaco improvviso. Il sangue non affluiva più al cervello, il paziente era incosciente. Comunicò la situazione al medico, ascoltò attentamente e poi disse a Vittorio: "Presto, il defibrillatore!" Bisognava intervenire con trattamento d’urgenza: effettuare la rianimazione cardio-polmonare e attuare la procedura operativa specifica. Lavorarono in fretta, con grande concentrazione. Giancarlo si mise al fianco del paziente, controllò la mancanza di attività respiratoria osservando il torace, ascoltò se c’erano rumori respiratori e provò a sentire sulla propria guancia l’eventuale flusso di aria. Niente. Dieci secondi. Con l’indice e il medio della mano destra individuò la cartilagine tiroidea e fece scivolare i polpastrelli fino al solco corrispondente all’arteria. Il polso era assente. Vittorio posizionò il DAE a sinistra del paziente, all’altezza dell’orecchio. Sistemò sul torace le placche-elettrodo. Giancarlo procedette al massaggio cardiaco con trenta compressioni e due insufflazioni. A questo punto l’apparecchio fu pronto ad entrare in funzione: i soccorritori si allontanarono e iniziò l’operazione di defibrillazione. Il cuore del paziente fu attraversato per quattro millisecondi da una scarica elettrica, la muscolatura si contrasse. Non ne furono necessarie altre; al successivo controllo il paziente riprese coscienza. La sequenza operativa fu conclusa. Proprio allora arrivò l’auto medica del pronto soccorso. Con la sua corporatura tozza e il faccione largo entrò il dottor Bellesia, seguito da un infermiere. Salutò, osservò il paziente, valutò il polso, guardò i dati. "Le sue condizioni sono stabili, può raggiungere l’ospedale. Dai, preparate la barella!" disse ai soccorritori. Il paziente stava riaprendo gli occhi. Il medico gli disse sottovoce, guardandolo in viso: "Tranquillo, è tutto passato. C’è stato un piccolo infarto, ma siamo arrivati in tempo. È necessario un ricovero immediato in ospedale per accertamenti. Coraggio, abbia fiducia." Rivolto all’infermiere, gli ordinò di somministrare 10 cc di Clopidogrel per via endovenosa. Poi si rivolse a Giancarlo: "Mettigli la mascherina e dagli ossigeno ad alti livelli ". Chiese al vecchio domestico: "Lei è un parente?" L’uomo lo guardò: "No, sono solo una persona di servizio. Ho già avvertito i parenti. Arriveranno presto. Posso salire sull’ambulanza con lui? " "No, mi spiace. Può seguirci però con la sua automobile. " "Ah, grazie, farò così. Prenderò l’utilitaria." e si affrettò verso l’uscita. Quando tutto fu pronto, il paziente fu caricato sull’ambulanza con accanto il medico e l’infermiere. Vittorio si mise al volante e partì a velocità sostenuta, azionando la sirena. Adesso erano in codice rosso. Giancarlo lo seguiva alla guida dell’auto medica; dietro la Fiat di Alvaro. Arrivarono in otto minuti. La porta mobile si alzò di scatto, entrarono nella camera calda del Pronto Soccorso e scaricarono la barella. Accorsero due infermieri per aiutare il dottor Bellesia, che dava ordini a voce alta. Come sempre, il Pronto soccorso era affollato e lo spazio ristretto, ma tutti fecero largo e permisero al personale e alla barella di raggiungere l’ambulatorio. Il lavoro dei soccorritori volontari era finito. Dovevano riportare l’ambulanza in sede e completare il foglio di viaggio. Giancarlo si mise a scrivere, mentre Vittorio guidava verso via Pareschi. Ripresero fiato, commentarono l’accaduto. La procedura aveva avuto successo, erano sollevati e contenti. Ancora una volta il DAE aveva lavorato bene. L’altro era rimasto colpito dalla villa, dalla ricchezza dell’arredo, dal lusso. "Hai visto che ambiente? Deve essere ricco sfondato!" "Beh, c’è molta sostanza! Però mi è sembrato un tipo molto solo. Nessun familiare, solo quel vecchio servo…" "Stando a quello che ha detto, parenti ne ha, anche se molto desiderosi di ereditare!" "Già, i soldi, la roba, come in tutte le famiglie…" Erano arrivati in sede. Adesso Vittorio doveva ripulire l’abitacolo. Quando finì, erano le 12.30. Andò un po’ a rilassarsi nella saletta e prese un caffè. Scherzò con Vincenzo, il centralinista, sull’abitudine del 118 di chiamarli solo cinque minuti prima delle 13. Quel giorno però non successe, rimase tutto tranquillo. Quando terminò l’orario di servizio, salutò tutti e tornò a casa in bicicletta. No, lui non era rimasto abbagliato dalla ricchezza del conte. Non dava alcuna importanza a queste esteriorità. Martina gli diceva sempre -a ragione- che non aveva gusto estetico. In fondo, la storia del vecchio conte era simile a quella di tutti gli altri: si sta bene, si mangia, si dorme, si lavora, poi… puff! Tutto finito. In pochi minuti, la vita cambia radicalmente. Il corpo soffre, non c’è più nulla di piacevole, il nostro destino dipende dai parametri vitali e dagli indicatori, non possiamo più decidere dove andare o che cosa fare.  Se sopravviviamo, non dimenticheremo più le ore di incertezza, la paura, la consapevolezza della debolezza e dell’impotenza. Tutto così in fretta, senza alcun presentimento o avviso. Ecco una lezione da ricordare, da cui trarre un insegnamento. Memento mori, ricordati, ricordati! Che la signora nera non ti colga completamente impreparato, che tu possa guardarla in faccia con fermezza! No, la morte sarebbe stata la compagna della sua vita, non la padrona. Avrebbe vissuto come aveva sempre fatto, da uomo, con dignità. Il suo servizio volontario a favore della gente sofferente era un allenamento per questo. Un patto con se stesso, un impegno morale, anche un atto religioso. Però, com’era democratica, la nera signora. Pallida mors, aequo pede pulsat pauperum tabernas regumque turres… La pallida morte bussa con piede imparziale alle torri dei re e alle capanne dei poveri… Ma questa volta il ricco signore non le aveva aperto.
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Franca

Franca

Appassionata di storia, è stata insegnante di Lettere alle scuole medie dal 1975 al 2011, quando è andata in pensione.
Scrive racconti, si occupa di volontariato e ha un grande amore per le piante e i fiori.
Autodidatta nella coltivazione delle piante, si impegna a mantenere un approccio bio nella cura del giardino.
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