Privacy Policy
Racconti

Codice Rosso: Le priorità

reddittumblrmailMartina e Vittorio dedicavano spesso due ore del pomeriggio a una passeggiata in bicicletta. Era un’abitudine piacevole e salutare, soprattutto per Martina che aveva bisogno di fare esercizio fisico. Era Agosto inoltrato, l’afa era pesante e solo lo spostamento d’aria provocato dalla bicicletta dava un po’ di sollievo. Si avviarono verso la Statale, costeggiando il Campo della Protezione Civile della Regione Valle d’Aosta. Il sole picchiava sulle tende blu, in giro non si vedeva nessuno. Il traffico stradale era intenso, ma ben presto girarono per una stradina sterrata di campagna, costeggiata da antiche querce. Lungo via Pioppa c’erano case coloniche isolate e molto antiche. Ora era una frazione di Roverbella, ma un tempo era stata una fortificazione di protezione ai bastioni e alle mura della città. Nel Cinquecento aveva giocato un ruolo militare importante nel corso di un assedio: presso la sua chiesa un papa aveva corso il rischio di essere colpito da una cannonata. Di questo passato militare non restava alcuna traccia. La chiesa attuale, edificata nel Settecento più a nord, era uguale a tante altre. Come tutte nella Bassa, era stata lesionata dal terremoto nel tetto e nella facciata. Grossi blocchi di calcestruzzo e mucchi di mattoni diroccati giacevano davanti al sagrato. Fortunatamente il campanile non c’era, non era mai stato costruito. Imboccarono un vialetto d’accesso ed arrivarono al numero civico 4, dove abitava la famiglia Trentini. Martina e Vittorio videro subito i grossi pali di pino che puntellavano la facciata, i sostegni alle finestre e all’architrave della porta. Il tetto sembrava in buono stato, ma grosse crepe diagonali solcavamo gli angoli della costruzione, soprattutto al primo piano. Il cortile era ingombro di container sparsi. Sul prato una vecchia roulotte, di fianco un porticato in muratura con un tavolo, delle sedie, alcuni piccoli armadi. "Questo è tutto quello che siamo riusciti a salvare" disse Marina. Era uscita incontro agli ospiti, per salutarli. Accanto a lei, un bambino giocava con un cane bassotto. "Questa casa aveva cinquecento anni. Era stata ristrutturata più volte. Due anni fa noi avevamo rifatto il tetto. Il solaio e il primo piano sono stati gravemente lesionati dal sisma, il pianterreno non è agibile. Le strutture portanti non sono sicure, ogni giorno registriamo piccoli spostamenti. Non possiamo più abitare qui." Parlava con semplicità, con tono dimesso e calmo. Era una donna di quarant’anni, di corporatura media, con i capelli rossi. Il bambino invece era bruno, esile, sorridente. Nelle parole, negli sguardi, nei gesti misurati si avvertiva lo sforzo tenace della madre per proteggerlo, per rassicurarlo, per farlo vivere in un’atmosfera di apparente normalità. "Ci siamo ridotti a vivere in questi locali di servizio, che stiamo adattando ad abitazione. Mancano le finestre, gli impianti sanitari e di riscaldamento, c’è umidità. I lavori richiedono molto tempo e quest’inverno non potremo restare qui. Adesso dormiamo in roulotte e c’è caldo, ma dal prossimo autunno abbiamo deciso per il bene dei bambini di prendere in affitto un appartamento in città. Non c’è altra soluzione." Martina pensò che l’amica stava reagendo in modo positivo, anche se le costava un grande sforzo interiore accettare una realtà così dura con rassegnazione. C’era qualcosa di grande nella calma e nella dolcezza con cui guardava suo figlio. Descrisse loro come era avvenuta la grande scossa sismica del 20 Maggio. Il bassotto aveva abbaiato per tutto il giorno e all’una aveva dato l’allarme con ululati forsennati. Marina e il marito avevano avvertito una leggera scossa premonitrice, ma non si erano preoccupati eccessivamente ed erano tornati a dormire, chiedendosi la ragione dello strano comportamento del cane. Alle quattro e dieci tutta la casa era stata colpita da onde sussultorie fortissime, accompagnate da un boato sordo e profondo. Il suo primo pensiero era stato per i figli: era corsa nella loro stanza e aveva preso in braccio il più piccolo, avvolgendolo nelle coperte. Con la figlia adolescente al fianco era scesa per le scale più in fretta possibile, sotto una pioggia di calcinacci. Aveva stretto i denti per non urlare, per non spaventarli. In quel momento aveva capito la causa degli ululati. Lo spettacolo che aveva visto fuori era stato spaventoso: il prato davanti a casa era percorso da onde come se fosse un mare, i cespugli del giardino si agitavano con violenza ad ogni scossa. Suo marito, che era tornato dentro per controllare le botticelle dell’acetaia che custodiva in mansarda, era stato colpito da un grosso frammento di muro alla schiena e aveva dovuto correre giù per mettersi in salvo. Tutto il suo lavoro era distrutto, l’aceto si era sparso sul pavimento. Marina continuava a parlare sottovoce, per non farsi sentire dal bambino, che giocava col bassotto e il suo gatto lì vicino. Vittorio gli si avvicinò per parlargli. "Mio papà produce l’aceto balsamico – disse – e i vigili del fuoco sono riusciti a salvare molte botti. Vieni a vedere, le hanno messe nei container!" Lo portò vicino ad un grande cassone metallico e chiese alla madre di aprirlo. Lei andò a prendere le chiavi. Quando aprì, nel buio vide una decina di botti scure, con l’apertura superiore coperta da un rettangolo di garza bianca. All’interno c’era fresco, nonostante la giornata afosa. "I vigili del fuoco hanno lavorato molte ore per recuperare le botti che non si erano rovesciate e trasportarle fuori. Ci hanno permesso di salvarne metà. Noi produciamo l’aceto balsamico con la nostra uva e queste botti sono molto importanti per ricominciare." Indicò a Vittorio il vigneto davanti a casa, ordinato in lunghe file. L’uva stava maturando sui tralci. Il bambino corse ad aprire un armadietto sotto il portico e tornò con una scatola. L’aprì con orgoglio. Era una confezione regalo: dentro c’era una piccola bottiglia tonda, contrassegnata da un’etichetta: "Aceto balsamico della Pioppa". Vittorio lodò il prodotto, che osservò attentamente: invecchiato in botti di rovere per dieci anni! Martina consegnò alla donna l’avviso per cui era venuta, la salutò con affetto e fece per ripartire insieme a Vittorio. Il bambino però li trattenne. Voleva mostrare loro un’altra meraviglia. Li condusse al fienile diroccato, presso il quale erano state ammucchiate alcune balle di paglia. “Guardate!" gridò ridendo. Videro un piccolo gattino rosso e il bassotto che lo leccava amorosamente. Poi il cane si sdraiò e il micio incominciò a succhiare il latte dalle sue mammelle. "Il mio cane è una femmina e ha adottato questo gattino randagio. Lo considera suo figlio e gli dà il latte! Il gattino non la graffia mai, perché Lucy è la sua mamma!" Sorrisero al bambino e lodarono il comportamento della cagna. Il quadretto infantile era lieto, infondeva speranza e ottimismo. Anche la mamma sembrava partecipare alla gioia del bambino, confortata nella sua tristezza. La lasciarono col suo sorriso triste, davanti alla casa distrutta. Vittorio ripensò durante il ritorno alla sua forza e al suo coraggio. L’aveva visto tante volte sul volto di donne sfortunate, colpite dalla malattia e dal dolore. C’era in loro una vitalità indomita, perché nessuno lotta come le donne, soprattutto quando sono madri. Marina aveva difeso il suo bambino dalla paura e dall’angoscia, aveva protetto la sua infanzia e la sua fragilità. Poi avrebbe pensato alla famiglia e alla casa. Lei sapeva distinguere con chiarezza quali erano le priorità.
Franca

Franca

Appassionata di storia, è stata insegnante di Lettere alle scuole medie dal 1975 al 2011, quando è andata in pensione.
Scrive racconti, si occupa di volontariato e ha un grande amore per le piante e i fiori.
Autodidatta nella coltivazione delle piante, si impegna a mantenere un approccio bio nella cura del giardino.
Franca

Latest posts by Franca (see all)

Seguici su: Facebooktwittergoogle_pluspinterestrssyoutubetumblrinstagram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.